I rumori nelle attività commerciali
Molto spesso i magazzini o gli appartamenti dei primi piani di un palazzo vengono acquistati o dati in affitto alle attività commerciali rumorose come uffici, palestre, asili nido, pub, bar e simili.
In questi casi, per stabilire quali sono i limiti consentiti di rumore si deve realizzare uno studio più complessa.
Si deve tenere conto di due esigenze contrapposte.
Da un lato l’esigenza che deriva da comportamenti atti a mantenere la quiete pubblica, dall’altro lato, l’interesse dell’imprenditore a svolgere la sua attività senza ostacoli, perché in caso contrario, la produzione nazionale verrebbe pregiudicata.
A questo proposito, il codice civile, all’articolo 844, stabilisce che, in relazione alle attività economiche, il giudice deve essere meno fiscale nel valutare quale sia la soglia della normale tollerabilità dei rumori.
A esempio, coloro che acquistano una casa sopra un panificio o un bar devono tenere conto dei macchinari o dei clienti che si avvicendano.
La legge di Bilancio del 2019 (art. 1, comma 746 ha aggiunto un comma all’articolo 6 ter del Dl 208/2008), ha stabilito che il giudice nel valutare simili rumori, si deve rifare a una legge quadro del 1995 (Legge 477/1995) e ai suoi decreti attuativi (Dpcm 14 novembre 1997), che fissano delle soglie per diverse attività commerciali.
L’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, all’inizio menzionata, ha preceduto la riforma.
La Corte ricorda che, quando ci si trovi davanti alle attività produttive, esistono della norme speciali poste a tutela dell’ambiente, ad esempio, il Dpcm14 novembre 1997, attuativo della legge 477/1995 sull’inquinamento acustico, che contengono dei “parametri” concreti, il superamento dei quali comporta di sicuro l’illiceità delle immissioni.
Le finalità della normativa speciale
Il fine ella normativa speciale è garantire la tutela di interessi collettivi e di rilevanza pubblicistica ma i parametri indicati dalle relative norme possono essere considerati pertinenti a stabilire l’intollerabilità delle emissioni, nonostante non risultino vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità dei relativi effetti nell’ambito privatistico, se ne può anche discostare (Cass. sent. n. 17281/2005).
Sempre secondo l’ordinanza, una volta dimostrata l’intollerabilità delle immissioni acustiche attraverso prove testimoniali, “non è errato misurarne la soglia di accettabilità facendo leva sulla normativa speciale a tutela di interessi della collettività”, avvalendosi della relazione di un consulente tecnico nominato dal giudice che si è a sua volta avvalso dei parametri dei quali al Dpcm del 1997, utili a rendere più oggettiva la sua valutazione.
In simili casi ci si basa sul fatto che se l’immissione acustica è tale da pregiudicare la quiete pubblica, a maggior ragione se si dovesse risolvere in una emissione sonora nell’ambito della proprietà del vicino, più esposto degli altri, in ragione della contiguità dei fondi, al suo effetto dannoso, si deve per questo considerare intollerabile ai sensi del codice civile e illecita (Cass. sent. n. 1069/2017 e 939/2011).
Al fine di tutelarsi dai rumori molesti, la maggior parte dei condomini si rivolge all’amministratore di condominio o, se lo stesso dovesse essere irraggiungibile, i carabinieri, la polizia o i vigili urbani.
In relazione all’amministratore di condominio, non è sua competenza prendere posizione nelle liti private, salvo apposite clausole nel regolamento, mentre la forza pubblica questa può fare la sua esclusivamente se si configurano i presupposti del reato di disturbo della quiete pubblica, o meglio “delle attività e del riposo delle persone”.